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dc.contributor.authorBologna, Chiara
dc.date.accessioned2021-05-11T09:34:53Z
dc.date.available2021-05-11T09:34:53Z
dc.date.issued2020-12-18
dc.identifier.urihttps://directory.doabooks.org/handle/20.500.12854/69597
dc.languageItalianen_US
dc.relation.ispartofseriesSeminario giuridico della Università di Bolognaen_US
dc.subject.classificationthema EDItEUR::L Lawen_US
dc.titleLa libertà di espressione dei «funzionari»en_US
dc.typebook
dc.description.versionPublisheden_US
oapen.abstract.otherlanguage"Il ruolo cui sono chiamati i pubblici funzionari e i relativi vincoli che questi hanno di imparzialità e servizio nell’interesse della collettività, insieme alla tutela dell’efficienza dell’amministrazione, sembrano essere in molti Paesi alla base di discipline che richiedono ai pubblici impiegati peculiari doveri di riserbo. La presenza anche in Europa di tradizioni giuridiche che impongono forme di «moderazione» ai funzionari pubblici è alla base dei principi applicati in materia tanto dalla Corte di giustizia quanto soprattutto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Al contempo, però, i fatti più recenti avvenuti proprio in alcuni Stati europei rendono nuovamente attuale la questione dei limiti che gli ordinamenti costituzionali liberal-democratici devono porre ai pubblici poteri quando questi restringono l’esercizio della libertà di espressione dei propri funzionari. I licenziamenti di massa avvenuti in Turchia dopo il tentato golpe del 2016 o la cessazione anticipata del mandato dei giudici in Ungheria ci ammoniscono sui rischi di ogni forma di limitazione della libertà di espressione e in particolare delle limitazioni applicate ai dipendenti pubblici, necessari, più di tutti, alla costruzione di un’«ortodossia politica» di Stato e più di tutti esposti a divenire, nelle democrazie instabili, nuovi «vassalli». In riferimento all’ordinamento italiano diviene necessario stabilire se quest’ultimo permetta, preveda o addirittura imponga il rispetto, da parte del pubblico dipendente, di un peculiare dovere di riserbo. Nell’ambito della categoria dei «funzionari», intesi estensivamente quali titolari di pubbliche funzioni, uno spazio di riflessione specifico, legato alle peculiarità delle mansioni svolte, non può non essere riservato all’esercizio della libertà di espressione da parte dei magistrati, che talvolta, come ebbe a sottolineare il Presidente della Repubblica Napolitano, si rendono protagonisti di dichiarazioni «esorbitanti i criteri di misura, correttezza espositiva e riserbo» contribuendo a «disorientare i cittadini». Chiara Bologna insegna Diritto costituzionale e Diritto costituzionale comparato presso l’Università di Bologna. È stata Research Assistant presso l’Università di Harvard nel 2002 e nel 2005, ricercatrice di Diritto pubblico comparato dal 2006 presso l’ateneo bolognese dove, dal 2015, è professoressa associata di Diritto costituzionale. È coordinatore editoriale della rivista Quaderni costituzionali per la quale cura anche la rubrica delle Cronache costituzionali dall’estero. Nella Collana del Seminario giuridico della Università di Bologna ha già pubblicato Stato federale e “national interest”. Le istanze unitarie nell’esperienza statunitense (2010)."en_US
oapen.identifier.doi10.30682/sg305en_US
oapen.relation.isPublishedBy259c0e59-8cd9-4db1-a169-1f19e327db26
oapen.relation.isbn9788869236389en_US


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